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Il ne bis in idem è derogabile

Avv. Nicola Pietrantoni (ItaliaOggi7, 1 marzo 2021)

È legittima la doppia sanzione, tributaria e penale, nei confronti di chi presenta una dichiarazione infedele, sempre che sussista una connessione sostanziale e temporale tra i due procedimenti e la proporzionalità complessiva della sanzione rispetto al fatto commesso.

La Suprema Corte (terza sezione penale), con la sentenza n. 4439 del 14/1/2021, ha ribadito alcuni principi fondamentali in tema di “doppio binario” e “ne bis in idem” in ambito tributario, alla luce della più recente giurisprudenza europea (Corte Edu e Corte di Giustizia dell’Ue) e della nota pronuncia della Corte Costituzionale (n. 222 del 24/10/2019) che ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate in ordine all’art. 649 c.p.p. (“Divieto di un secondo giudizio”).

Il fatto oggetto della sentenza n. 4439/2021. La Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità penale dell’imputato, ex art. 4 d lgs 74/2000 (“Dichiarazione infedele”), per aver indicato, nelle dichiarazioni fiscali relative all’Irpef e all’Iva, elementi passivi inesistenti, superando le soglie di punibilità previste dalla legge, al fine di evadere le imposte. Lo stesso contribuente, in sede tributaria e prima della condanna penale, aveva corrisposto al fisco, attraverso la procedura di accertamento con adesione, una somma che comprendeva anche interessi e sanzioni, per gli identici fatti oggetto del procedimento penale. Per queste ragioni, il ricorrente ha lamentato la violazione del “ne bis in idem” perché la sanzione amministrativa già inflitta doveva considerarsi, secondo i criteri enucleati dalla giurisprudenza comunitaria, di carattere sostanzialmente penale, circostanza che avrebbe dovuto neutralizzare il contestato delitto di dichiarazione infedele.

La natura del “doppio binario” nel sistema italiano. I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso, ricordando innanzitutto che la duplicazione del procedimento (amministrativo e penale) e delle relative sanzioni, per lo stesso fatto e nei confronti della medesima persona, non determina l’automatica violazione del “ne bis in idem”. Con riferimento alla dichiarazione infedele, infatti, il nostro ordinamento prevede l’accertamento, con gli eventuali riflessi punitivi, sia in sede amministrativa (art. 13, comma 1, d lgs 471/1997) che penale (art. 4, d lgs 74/2000). Il sistema del “doppio binario”, dunque, è normativamente sorretto dalle diverse finalità che caratterizzano i due procedimenti: quello amministrativo è sostanzialmente orientato al recupero delle imposte non versate, mentre quello penale è finalizzato alla prevenzione e alla repressione dei reati (in questo caso, tributari).

In questa prospettiva, la stessa Corte ha precisato che “…la minaccia di una sanzione detentiva per condotte particolarmente allarmanti (essendo previste soglie di punibilità), in aggiunta a una sanzione amministrativa pecuniaria, persegue, infatti, legittimi scopi di rafforzare l’effetto deterrente spiegato dalla mera previsione di quest’ultima, di esprimere la ferma riprovazione dell’ordinamento a fronte di condotte gravemente pregiudizievoli per gli interessi finanziari nazionali ed europei, nonché di assicurare ex post l’effettiva riscossione degli importi evasi da parte dell’amministrazione grazie ai meccanismi premiali connessi all’integrale saldo del debito tributario”.

L’influenza della giurisprudenza sovranazionale. La Suprema Corte non ha quindi ravvisato alcuna violazione del “ne bis in idem”, proprio alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza comunitaria sul punto. È stata infatti accertata la sussistenza di una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta tra il procedimento amministrativo e quello penale, considerata la quasi contestualità della notifica, nei confronti del contribuente, dell’avviso di accertamento e dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari (ex art. 415-bis, c.p.p.). E la sanzione è stata ritenuta complessivamente proporzionata, dal momento che il giudice penale di merito, ai sensi dell’art. 13-bis d lgs 74/2000, aveva decurtato la pena della metà senza applicare le pene ex art. 12 d lgs 74/2000, “…a dimostrazione che l’ordinamento italiano, nell’irrogare la sanzione penale, tiene in debita considerazione gli esiti della procedura amministrativa”.

La Corte Edu e la Corte di Giustizia sul tema. Proprio la giurisprudenza europea ha individuato i criteri che identificano il divieto della doppia sanzione, sostanzialmente penale, a carico del medesimo soggetto per i medesimi fatti, desumibile dall’art. 4 Prot. 7 della Convenzione Edu (“Diritto di non essere giudicato o punito due volte”) e dalla corrispondente disposizione del Diritto dell’Unione, rappresentata dall’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (“Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”).

Con la sentenza A. e B. contro Norvegia del 15/11/2016, la Grande Camera della Corte Edu, intervenuta in materia tributaria, ha interrotto quella sorta di automatismo che faceva scattare il “bis in idem” ogni qualvolta veniva avviato un secondo procedimento finalizzato ad irrogare una seconda sanzione, avente natura sostanzialmente penale, per il medesimo fatto oggetto di un precedente giudizio.

Secondo la Corte Edu, la violazione o meno del “bis in idem” convenzionale deve essere rimessa alla valutazione del singolo giudice, il quale dovrà verificare la sussistenza di quello stretto legame sostanziale e temporale, di cui si è accennato in precedenza, tra il procedimento amministrativo e quello penale. Connessione che verrà integrata, secondo i criteri dettati da Strasburgo, nelle seguenti circostanze: a) quando le due sanzioni perseguano scopi diversi e complementari, connessi ad aspetti diversi della medesima condotta; b) quando la duplicazione dei procedimenti sia prevedibile per l’interessato; c) quando esista una coordinazione, specie sul piano probatorio, tra i due procedimenti; d) quando il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, non risulti eccessivamente afflittivo per l’interessato, in rapporto alla gravità dell’illecito.

Anche la Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Ue, con le tre sentenze coeve del 20/3/2018 (Menci, C-524/15; Garlsson Real Estate SA e altri, C-537/16; Di Puma e Zecca, C-596/16 e C-597-16), ha stabilito che la violazione del “ne bis in idem”, ex art. 50 CDFUE, non si verifica nel caso in cui a) i procedimenti e le sanzioni abbiano scopi complementari, b) siano previste regole chiare e precise che rendono prevedibile il sistema del doppio binario sanzionatorio, c) il sistema normativo garantisca una coordinazione tra i due procedimenti, in modo tale da evitare oneri eccessivi per l’interessato, d) il complessivo risultato sanzionatorio non risulti sproporzionato rispetto alla gravità del fatto commesso.

La valutazione del caso concreto da parte del giudice. A parere della Corte di Lussemburgo, inoltre, il sistema del doppio binario italiano, con particolare riferimento all’omesso versamento dell’Iva, non si pone in contrasto, almeno in linea generale, con l’art. 50 CDFUE. È infatti il singolo giudice nazionale, come già affermato dalla Corte Edu, che deve valutare il caso concreto, verificando che “…il cumulo dei procedimenti e delle sanzioni…non sia eccessivo rispetto alla gravità del fatto commesso”.

La Corte Costituzionale (sentenza n. 222/2019). Gli stessi principi espressi dalla giurisprudenza europea sono stati poi richiamati anche dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 222 del 24/10/2019, con cui ha affrontato, dichiarandola inammissibile, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. (che vieta di sottoporre chi sia stato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili a nuovo procedimento penale per il medesimo fatto) che era stata sollevata proprio nella parte della norma che “…non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dei relativi protocolli”.