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Fatture fittizie a maglie larghe

Avv. Nicola Pietrantoni – (Italia Oggi, 21 febbraio 2022)

Il reato di dichiarazione fraudolenta può consumarsi anche con l’utilizzo di fatture solo soggettivamente inesistenti, pur se le prestazioni indicate sono state realmente eseguite da altri.

Per la sussistenza del reato previsto e punito all’art. 2, d lgs 74/2000, infatti, è sufficiente che sia riportato in fattura un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura.

La Corte di cassazione (terza sezione penale), con la sentenza n. 1866/2021 (motivazioni depositate il 10/11/2021), è tornata sulla fattispecie delittuosa che punisce, con la reclusione da quattro a otto anni, “…chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi”.

La vicenda processuale. I giudici di merito, nei precedenti gradi di giudizio, avevano condannato il legale rappresentante di una società a responsabilità limitata per aver indicato, nelle dichiarazioni riferite a due anni di imposta, al fine di evadere l’Iva, elementi passivi fittizi relativi a detta imposta pari a somme di significativo valore economico, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, e cioè emesse da una società che non aveva realizzato le prestazioni indicate in fattura.

Il ricorrente, in ordine all’elemento psicologico del reato, ha contestato la sussistenza dell’intento fraudolento, anche sulla circostanza che i costi erano stati effettivamente sostenuti. Il dolo, secondo l’impostazione difensiva, sarebbe stato erroneamente collegato al fatto che l’Iva versata dalla ditta del ricorrente al soggetto interposto non fosse stata pagata dall’esecutore reale della prestazione.

Inoltre, si legge sempre in sentenza, il ricorrente ha lamentato che la fittizietà soggettiva sarebbe stata desunta, dai giudici di merito, esclusivamente dalla situazione economico-patrimoniale della società che aveva emesso quelle stesse fatture.

Il reato sussiste anche se le prestazioni sono reali.I giudici di legittimità hanno innanzitutto osservato che, ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2, d lgs 74/2000, “…è sufficiente che nella fattura, poi utilizzata nella dichiarazione, sia indicato un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura, pur se quest’ultima sia reale”.

Il meccanismo per ottenere un indebito rimborso. A sostegno di questa conclusione, la Corte ha argomentato che “…l’esposizione nella dichiarazione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto e l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non è circostanza indifferente ai fini dell’Iva, dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre”.

La Cassazione, inoltre, ha descritto come opera il meccanismo illecito che porta all’indebito rimborso Iva: il tributo in esame, infatti, deve essere versato al soggetto che ha eseguito una prestazione imponibile, il quale, a sua volta, potrà compensare con l’Iva corrisposta per l’acquisto di beni e di servizi. Il versamento dell’Iva ad un soggetto non operativo o, comunque, fittiziamente interposto, apre invece la strada al recupero indebito della stessa imposta.

Indici di fittizietà soggettiva. Nel caso oggetto di valutazione giudiziaria, la Cassazione ha descritto e valorizzato una serie di elementi, riguardanti l’operatività della Srl (poi dichiarata fallita) che aveva emesso le fatture incriminate, che hanno consentito di affermare che queste fossero relative ad operazioni soggettivamente inesistenti.

Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, infatti, sarebbero emersi una pluralità di indizi gravi, precisi e convergenti, richiamati anche nelle motivazioni della sentenza, da cui è stato possibile desumere che la società in questione “…non era assolutamente in condizione di effettuare le forniture di materiali edili e i noleggi di mezzi di cantiere riportati nelle fatture, tra l’altro di ingentissimo importo”.

Proprio nel periodo contestato, infatti, questa aveva emesso tutte fatture (con numerazione non progressiva) per fornitura di materiali edili e noleggi di mezzi di cantiere, pur non disponendo di beni noleggiabili e nonostante avesse assunto dipendenti solo a partire da una certa data.

In buona sostanza, una società organizzata in questo modo non avrebbe potuto detrarre l’Iva, con riferimento all’anno di imposta oggetto di accertamento, pari a somme così rilevanti.

La Corte, anche per queste ragioni, ha ritenuto corretta l’affermazione  che “…la fittizietà soggettiva delle fatture segue necessariamente all’accertamento della impossibilità dell’emittente di eseguire le prestazioni nelle stesse indicate”, con la conseguenza che “…se la prestazione indicata in fattura non può essere effettuata da chi formalmente emette il documento fiscale, è necessario concludere che la medesima prestazione, ove effettivamente eseguita, è stata realizzata da un soggetto diverso da quello che ha rilasciato il documento”.

L’indebito risparmio fiscale di chi ha eseguito la prestazione. La Cassazione, nel caso di specie, ha precisato altresì che il ricorrente, oltre ad aver realizzato un’evasione anche per conto della Srl emittente (i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, infatti, non sono mai deducibili ai fini Iva), ha assicurato un indebito risparmio fiscale al soggetto che aveva realmente eseguito la prestazione.

L’elemento soggettivo del reato (il dolo). Sono state ritenute, infine, manifestamente infondate le censure formulate dall’imputato in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato.

La Corte, infatti, non ha valorizzato né il fatto che i costi erano stati effettivamente sostenuti dal ricorrente, né l’asserita incongruità in ordine all’evasione dell’Iva da parte del reale esecutore della prestazione.

Sul punto, i giudici hanno richiamato e condiviso il principio, più volte affermato in giurisprudenza, secondo cui “…il dolo nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, di cui all’art. 2 d lgs n. 47 del 2000, è ravvisabile nella consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l’Iva versata dall’utilizzatore della fattura non è stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima” (Cass. pen., Sez. III, n. 50362, 29/10/2019; Cass. pen., Sez. III, n. 19012, 11/5/2015).