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Nicola Pietrantoni

Niente daspo al professionista

Avv. Nicola Pietrantoni

Il giocatore colpito da daspo non può giocare una partita di calcio dilettantistico. In caso contrario, il contravventore potrebbe rispondere, in sede penale, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 40.000 euro, per la violazione del “divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive”, previsto e disciplinato all’articolo 6 della legge 401/1989.

Se l’atleta è un professionista, invece, il provvedimento del questore non potrebbe impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa dalla quale il calciatore ricava la retribuzione per le sue esigenze di vita e nella quale esplica in pieno la propria personalità: in estrema sintesi, ogni eventuale compressione, o anche solo limitazione, dell’attività sportiva professionistica renderebbe lo stesso daspo illegittimo.

In questi termini, si è espressa recentemente la Corte di Cassazione (III Sezione Penale), con la sentenza n. 35481/2021 le cui motivazioni sono state depositate il 27/9/2021, che ha rigettato il ricorso dell’imputato, un giocatore di una squadra di calcio dilettantistico, condannato per aver violato il c.d. daspo, ossia il provvedimento del questore che prescrive, nei confronti di coloro che hanno tenuto comportamenti violenti nell’ambito o nel contesto di eventi sportivi, il divieto di partecipare proprio a determinate manifestazioni sportive. Il ricorrente, colpito da daspo, aveva infatti giocato un incontro di calcio dilettantistico nonostante dovesse ancora rispettare il divieto di accedere ai luoghi di svolgimento di tutte le gare calcistiche organizzate dalla FIGC.

La difesa dell’imputato, nel giudizio instaurato avanti la cassazione, ha sostenuto che il giudice di merito avrebbe erroneamente considerato legittimo il divieto di accedere allo stadio non solo quale spettatore, ma anche in qualità di calciatore, disattendendo proprio la ratio della norma contestata (art. 6, legge 401/1989), finalizzata, secondo la prospettiva del ricorrente, a prevenire le condotte violente dei tifosi e non invece ad impedire la partecipazione a qualsivoglia attività sportiva.

I giudici di legittimità, superando le argomentazioni difensive sopra richiamate, hanno voluto innanzitutto sottolineare che “l’ordinamento considera la violenza legata alle manifestazioni sportive gravissima”. In secondo luogo, la cassazione ha precisato che “la ratio dell’art. 6 l. 401/1989 è prevenire fenomeni di violenza, inibendo ai soggetti che si sono dimostrati violenti o incapaci di controllare i propri stati emotivi e passionali, legati allo sport, l’accesso, a qualunque titolo, anche partecipativo, ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive”.

Le condotte di violenza tenute nel corso di manifestazioni sportive dai giocatori tesserati a federazioni sportive, infatti, “…non possono essere assoggettabili esclusivamente a sanzioni specifiche (squalificazioni, inibizioni e quant’altro) applicabili dai competenti organi della giustizia sportiva”.

In buona sostanza, si legge sempre nelle motivazioni della sentenza n. 35481/2021, “l’attività sportiva…non è altro che la mera occasione da cui scaturisce il comportamento violento”, come ha anche confermato la stessa giurisprudenza penale di legittimità in precedenti pronunce (Cass. pen. n. 33864/2007, Cass. pen. 26907/2009). Proprio per queste ragioni, quindi, la Suprema Corte ha ritenuto che il daspo “…può vietare l’accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, anche quale partecipante alle attività sportive, a chi non esercita professionalmente le stesse”, con la fondamentale precisazione che un’eventuale diversa interpretazione dell’articolo 6 della legge 401/1989, orientata a limitare lo svolgimento di attività sportiva da parte di professionisti retribuiti, contrasterebbe palesemente addirittura con alcune norme costituzionali (artt. 1 e 35, Cost.).