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Mediazione senza automatismi

Avv. Nicola Pietrantoni – (Italia Oggi, 21 febbraio 2022)

La mediazione onerosa tra un privato e un pubblico agente può anche essere lobbying e non sempre è traffico di influenze illecite. Non basta provare una forte relazione personale tra pubblico agente e intermediario: è lo scopo illecito a rendere penalmente rilevante la mediazione. Ad esempio, nel caso in cui il mediatore sia incaricato di commettere un reato idoneo a produrre vantaggi proprio al committente.

Il principio è contenuto nella sentenza n. 1182/2022, con cui la Cassazione (sesta sezione penale) ha ribadito alcune critiche proprio in merito alla formulazione del delitto di traffico di influenze illecite (art. 346-bis, codice penale), fattispecie che punisce anche la condotta di chi, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, «…indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita» verso il soggetto pubblico.

L’eccessiva indeterminatezza dell’art. 346-bis, cp. La stessa sezione della Corte, in una pronuncia recente, aveva già stigmatizzato la sostanziale indeterminatezza della norma sopra richiamata, la cui formulazione «…non chiarisce quale sia l’influenza illecita che deve tipizzare la mediazione», con la conseguenza che non è possibile, «…allo stato della normativa vigente, far riferimento ai presupposti e alle procedure di una mediazione legittima con la pubblica amministrazione (la cosiddetta lobbying), attualmente non ancora regolamentata» (Cass. pen., Sez. VI, n. 40518/2021, motivazioni depositate il 9/11/2021, si veda ItaliaOggi Sette del 6/12/2021).

Il deficit di tassatività del modello punitivo si traduce sostanzialmente nella potenziale rilevanza penale di qualsiasi forma di mediazione tra il privato e il pubblico. Proprio per evitare questa sorta di automatismo, i giudici di legittimità hanno precisato che, ai fini della consumazione del reato ex art. 346-bis, cp, «…le parti devono avere di mira un’interferenza illecita, resa possibile grazie allo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente».

La mediazione onerosa punita come tale. La Corte, con la più recente sentenza n. 1182/2022, è tornata sul delitto di traffico di influenze illecite, tema di estrema attualità considerata la recente approvazione del 13 gennaio scorso, alla camera dei deputati, della proposta di legge di iniziativa parlamentare proprio in materia di «disciplina dell’attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi». I giudici di legittimità, in particolare, hanno offerto alcuni principi sul significato e sugli effetti della mediazione «…in cui la prestazione del committente costituisce solo il corrispettivo per la mediazione illecita promessa dall’intermediario nei confronti del pubblico agente». In queste situazioni, si legge in sentenza, nelle quali «…l’utilità corrisposta dall’acquirente dell’influenza non è diretta, neppure in parte, a retribuire il pubblico agente, bensì costituisce il prezzo per l’intercessione promessa dal faccendiere», la punibilità ex art. 346-bis cp viene fatta discendere dal mero accordo tra committente e intermediario.

Le mediazioni non illecite. Fatte queste premesse, la Corte ha descritto il profilo delle mediazioni che non devono essere considerate illecite, «…almeno finché perduri l’assenza di una regolamentazione legale dell’attività dei gruppi di pressione in grado di riempire di contenuto l’elemento di illiceità speciale in oggetto».

In linea generale, precisa la Suprema corte, non assume connotazioni negative il mero utilizzo di una relazione personale, preesistente o potenziale, tra il cosiddetto mediatore e il decisore pubblico proiettata verso uno scopo lecito: in altre parole, non è sintomatico di alcuna dinamica corruttiva «…il fatto che un privato contatti una persona in ragione del conseguimento di un dato obiettivo lecito perché consapevole della relazione, della possibilità di ‘contatto’, tra il ‘mediatore’ e il pubblico agente, da cui dipende il conseguimento dell’obiettivo perseguito».

Il contratto di mediazione. La Corte, inoltre, ha precisato che «…non può essere oggetto di incriminazione, il contratto di per sé, sia esso di mediazione in senso stretto o di altro tipo». In caso contrario, si rischierebbe la violazione di alcuni principi fondamentali del diritto penale, in primis, quelli di materialità del fatto, di tipicità e di offensività. In ordine alle caratteristiche anche formali del contratto concluso tra il committente e l’intermediario non assumono poi rilievo eventuali profili di illegittimità negoziale ai fini della configurabilità del traffico di influenze illecite. Il concetto di mediazione richiamato all’art. 346-bis, cp, infine, non deve essere parametrato esclusivamente al contratto tipico di mediazione, quello previsto e disciplinato dal codice civile (artt. 1754 e ss), ma, più in generale, «…a quel sistema di rapporti che, pur non essendo riconducibili tecnicamente al contratto in questione, si caratterizzano nondimeno per la presenza di ‘procacciatori di affari’ ovvero per mere ‘relazioni informali’ fondate su opacità diffuse, da scarsa trasparenza, da aderenze difficilmente classificabili».

Lo scopo illecito dell’influenza. La mediazione, sempre secondo i giudici di legittimità, è penalmente rilevante, invece, «…in ragione della proiezione esterna del rapporto dei contraenti, dell’obiettivo finale dell’influenza compravenduta, nel senso che la mediazione è illecita se è volta alla commissione di un illecito penale, di un reato, idoneo a produrre vantaggi al committente».

Il mediatore, in buona sostanza, deve essere incaricato di commettere un reato, che si traduce proprio nell’intenzione «…di inquinare l’esercizio della funzione del pubblico agente, di condizionare, di alterare la comparazione degli interessi, di compromettere l’uso del potere discrezionale».

In estrema sintesi, è proprio lo scopo (illecito) a rendere illecita la mediazione, soprattutto «…in assenza di una disciplina organica del lobbismo, volta a disciplinare le modalità abusive di contatto tra mediatore e pubblico agente e, quindi, in mancanza di riferimenti chiari volti a definire la ‘illiceità modale’ della mediazione».

La regolamentazione del lobbying come parametro di riferimento. L’eventuale normativa sul lobbying può rappresentare, anche per la stessa l’Autorità giudiziaria, un valido ed efficace strumento di valutazione di quelle mediazioni che potrebbero collocarsi al di fuori del perimetro consentito dalla stessa disciplina.

La camera dei deputati, di recente, ha approvato una proposta di legge volta a disciplinare proprio quelle attività, consistenti in relazioni istituzionali per la rappresentazione di interessi, svolte dai cosiddetti rappresentanti di interessi, individuati nei soggetti che rappresentano, presso i decisori pubblici, interessi di rilevanza anche non generale e anche di natura non economica, al fine di promuovere l’avvio di processi decisionali pubblici, o di contribuire a quelli eventualmente già in corso.

L’attività, regolamentata, di questa particolare categoria di persone, come precisa la normativa in discussione, si dovrebbe realizzare attraverso «…la presentazione di domande di incontro, proposte, richieste, studi, ricerche, analisi e documenti, anche mediante procedure digitali, nonché lo svolgimento di ogni altra attività diretta a contribuire alla formazione delle decisioni pubbliche, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni e con obbligo di lealtà e integrità nei loro confronti» (art. 2).

Sono stati previsti, infine, l’istituzione di un registro pubblico per l’iscrizione dei soggetti che intendono svolgere l’attività di rappresentanza di interessi, di una agenda degli incontri tra questi e i soggetti pubblici, di un codice deontologico con le relative sanzioni in caso di violazioni, di una procedura di consultazione da parte degli organi pubblici, nonché di un comitato di sorveglianza che assicuri la trasparenza dei processi decisionali pubblici e del rapporto tra i portatori di interessi, i rappresentanti di interessi e i decisori pubblici.