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Evasione, i reati vanno distinti

Avv. Nicola Pietrantoni – (Italia Oggi, 28 marzo 2022)

Non compilare un quadro della dichiarazione non integra il reato di omessa dichiarazione. Infatti, una dichiarazione presentata tempestivamente all’amministrazione finanziaria non può considerarsi omessa ai sensi dell’art. 5 del dlgs 74/2000, anche se compilata in modo incompleto in alcune sue parti: in questi casi, la condotta può integrare, qualora ricorrano i presupposti richiesti dalla fattispecie di riferimento, il delitto di dichiarazione infedele, previsto all’art. 4, dlgs 74/2000, norma che punisce «…chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi inesistenti». Il principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione (terza sezione penale), con la sentenza n. 5141/2022 (motivazioni depositate il 14/2/2022).

Il caso. Il ricorrente, ritenuto responsabile di omessa dichiarazione nei precedenti giudizi di merito, in sede di legittimità aveva dedotto la nullità della sentenza di condanna per difetto di correlazione tra accusa e decisione, in relazione agli articoli 521, 522 e 604 del Codice di procedura penale. Secondo l’impostazione difensiva, infatti, il Tribunale e la Corte di appello avevano erroneamente ritenuto sussistente il delitto de quo nella condotta dell’imputato che aveva presentato alla amministrazione tributaria, nei termini previsti dalla legge, la propria dichiarazione annuale anche se incompleta nella compilazione di un solo quadro (RS). Per il ricorrente proprio l’avvenuta presentazione della dichiarazione non poteva integrare l’omissione di cui al contestato articolo 5, norma che punisce, con la reclusione da 2 a 5 anni, «…chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte».

Il punto di vista della Corte. I giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il motivo dedotto dal ricorrente, evidenziando che il reato di omessa dichiarazione si consuma quando il contribuente non trasmette agli uffici competenti le obbligatorie dichiarazioni nei termini previsti dalle leggi tributarie, nonché nel rispetto delle soglie individuate dallo stesso articolo 5. Per queste ragioni, la Corte non ha condiviso le conclusioni della sentenza impugnata, confermativa di quella di primo grado, con la quale i giudici di merito avevano «…ritenuto integrato il reato di cui all’art. 5 cit. pur a fronte di presentazione della dichiarazione intervenuta nei termini, per il fatto che la stessa fosse “sostanzialmente in bianco, dato che il quadro RS non era stato compilato”, giacché la norma penale de qua riposerebbe sull’obbligo di ‘mettere l’amministrazione finanziaria al corrente delle informazioni necessarie per accertare la consistenza dell’obbligazione tributaria».

Sempre secondo la Cassazione, «…l’equiparazione in tal modo operata dalla sentenza tra omessa presentazione e presentazione di dichiarazione incompleta, non può, tuttavia, essere condivisa, giacché fondata, a fronte di una condotta esaustivamente e rigorosamente individuata dalla norma e come tale non suscettibile di alcuna estensione, su una lettura analogica della norma contrastante con il principio di legalità».

I precedenti in sede tributaria e civile. A sostegno delle proprie motivazioni, la Corte ha richiamato la giurisprudenza tributaria e civile di legittimità proprio in tema di omessa presentazione disciplinata dalla legislazione in materia, che ha costantemente ritenuto improponibile l’equipollenza sopra richiamata. L’articolo 1, comma 2, del dpr 600/1973 («Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi»), infatti, da una parte, prevede che la dichiarazione «…deve contenere l’indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili secondo le norme che disciplinano le imposte stesse» e, dall’altra, precisa che «i redditi per i quali manca tale indicazione si considerano non dichiarati ai fini dell’accertamento e delle sanzioni». Il tenore letterale della norma porta a ritenere, come riferiscono le stesse motivazioni della sentenza n. 2385/2021, che «…nell’ipotesi in cui non siano indicati gli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili (tanto più se, come nel caso di specie, la mancata indicazione sia stata solo parziale, riguardando un solo quadro), la dichiarazione si deve ritenere presentata e solo i singoli redditi (fondiario, di impresa, di lavoro autonomo), si devono considerare non dichiarati». In questi casi, quindi, la dichiarazione è esistente a tutti gli effetti anche se priva dei dati necessari per la ricostruzione del reddito, in quanto è la stessa normativa a prevedere che i redditi non indicati vengano considerati come non dichiarati.

Omessa dichiarazione nelle ipotesi più radicali. I giudici di legittimità, con la sentenza in esame, hanno poi ripercorso, in sintesi, il più recente orientamento della Cassazione civile per individuare le coordinate tipiche di quelle condotte che potrebbero invece integrare una vera e propria omessa dichiarazione, con tutti gli inevitabili riflessi, ex art. 5, dlgs 74/2000, anche in sede penale.

Secondo questa impostazione, «…la fattispecie di omessa dichiarazione deve essere riservata solo alle ipotesi più radicali, quali l’assoluta inesistenza del documento e la mancata trasmissione all’Ufficio» (Cass. civ., quinta sezione, n. 1879 del 10/9/2020). Sarebbero proprio le situazioni limite a corroborare senza possibilità di incertezze «…la conclusione in ordine alla non equiparabilità di una dichiarazione semplicemente incompleta ad una dichiarazione non presentata».

In altro giudizio civile, i giudici hanno precisato che «…nell’ipotesi in cui il contribuente non ometta la dichiarazione, ma provveda invece a effettuarla, qualora indichi un valore diverso rispetto a quanto dovuto, incorre in errore, oppure nella dichiarazione infedele, qualora l’errore sia voluto, ma non nell’omessa dichiarazione», richiamando il principio di diritto secondo cui «la dichiarazione infedele presentata dal contribuente…, anche quando indichi un valore non verosimile non è equiparabile alla omessa dichiarazione» (Cass. civ., quinta sezione, n. 10668 del 12/1/2021).

La Corte, nel caso di specie, ha quindi ritenuto che la dichiarazione presentata dal ricorrente, incompleta nella mancata compilazione di un solo specifico quadro, non potesse nemmeno essere considerata alla stregua di una dichiarazione compilata, per esempio, nel solo frontespizio, non sottoscritta e priva di ogni contenuto.

La dichiarazione infedele ex art. 4, dlgs 74/2000. La fattispecie incriminatrice più coerente rispetto al fatto oggetto di imputazione, sempre secondo la Suprema corte, è quella che punisce la dichiarazione infedele. Sul punto, è stato richiamato un precedente giurisprudenziale riferito ad un caso molto simile a quello in esame, in cui era stato contestato proprio il reato ex art. 4, dlgs 74/2000. La Cassazione (terza sezione penale), con la sentenza n. 32490 del 24/4/2018 (motivazioni depositate in data 16/7/2018), aveva infatti valutato il ricorso di un imputato, titolare di una omonima impresa individuale, il quale, al fine di evadere l’imposta sui redditi, aveva indicato nella dichiarazione annuale relativa a detta imposta elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, proprio attraverso l’omessa compilazione del quadro RG/RF.

Le conclusioni. La Cassazione ha concluso che «…la sentenza impugnata è incorsa, nel ritenere integrato il reato di cui all’art. 5 del dlgs n. 74 del 2000 a fronte di elementi (la mancata compilazione, come detto, di un quadro apposito) che dovevano invece indirizzare a ravvisare nel fatto elementi eventualmente costitutivi, semmai, del reato di cui all’art. 4, in violazione di legge, in tal modo risultando fondata la censura difensiva in ordine alla sostanziale trasformazione del fatto di omessa presentazione, addebitato, in fatto di dichiarazione infedele, ritenuto». Il giudice territoriale, in luogo della sentenza di condanna nei confronti del ricorrente, avrebbe dovuto applicare la disciplina dell’art. 521, comma 2, cpp, che consente all’organo giudicante di trasmettere, con ordinanza, gli atti al pubblico ministero nel caso in cui accerti che il fatto è diverso da come descritto nel capo di imputazione.