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Reati contro la p.a. se c’è la gara

Avv. Nicola Pietrantoni – (Italia Oggi, 4 aprile 2022)

Violenze, minacce o, al contrario, regali o promesse non configurano il reato di turbata libertà del procedimento di scelta se la pubblica amministrazione non ha previsto di indire una gara, anche informale. In altre parole, è reato turbare il procedimento amministrativo per ottenere l’affidamento diretto dei lavori quando è prevista la concorrenza di altri potenziali contraenti. Anche un’eventuale trattativa privata, infatti, potrebbe non escludere una gara, sia pure informale, o una qualsiasi altra procedura selettiva. Il delitto de quo non è configurabile, invece, nel caso di affidamento diretto assegnato nell’ambito di una trattativa privata svincolata da ogni schema concorsuale, nonché nei casi in cui la decisione di procedere in tal senso è essa stessa il risultato di un inquinamento del procedimento finalizzato ad evitare la gara.

Questi i principi contenuti nella sentenza n. 5536/2022 (motivazioni depositate il 16/2/2022) con cui la Corte di Cassazione (sesta sezione penale) ha ritenuto fondati i motivi di ricorso presentati da alcuni imputati ritenuti responsabili nei precedenti gradi di giudizio. Il riferimento è all’art. 353-bis del codice penale, che punisce proprio la turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, realizzata con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, con l’intenzione di condizionare le modalità adottate dalla pubblica amministrazione per scegliere il contraente.

Il caso. I ricorrenti (due esponenti con funzioni pubbliche e un titolare di un’impresa individuale), secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero turbato, al fine di condizionare la scelta del contraente, il procedimento pubblico diretto alla stipula di un contratto riguardante la realizzazione e la messa in opera di un sistema di sicurezza.

Dalla lettura delle motivazioni della sentenza di legittimità, emerge che le condotte contestate sarebbero state poste in essere con collusioni e con una serie di mezzi fraudolenti: in particolare, nella scelta, previamente concertata tra i tre imputati, di affidamento dell’incarico proprio alla impresa di uno di questi; nella esclusione di forme di pubblicità o richieste di offerta o partecipazione alla fase negoziale di altri possibili concorrenti; infine, «…nella artata configurazione di una situazione di urgenza, per invocare l’applicazione di una procedura di individuazione del contraente illegittima, perché violativa della disposizione del dlgs n. 163 del 2006 all’epoca vigente in quanto si procedeva ad affidamento diretto, trattativa privata, laddove invece sarebbe stato necessario procedere alla pubblicazione di un bando di gara o comunque con richieste di offerte a più concorrenti da individuarsi secondo criteri oggettivi».

La Corte di appello aveva ritenuto integrato il reato ex art. 353-bis, cp, in quanto le azioni condizionanti poste in essere dagli imputati, anche se non finalizzate a turbare una gara, avevano proprio l’obiettivo di evitare ogni procedura selettiva e consentire così l’affidamento diretto in assenza delle condizioni richieste dalla legge.

La tesi difensiva. I ricorrenti hanno dedotto, in sede di legittimità, la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza di secondo grado, secondo la quale il delitto sarebbe configurabile anche nei casi in cui la deliberazione a contrarre, per effetto della turbativa, non preveda la realizzazione di alcuna gara bensì l’affidamento diretto. La questione, dal punto di vista dei ricorrenti, riguarda la configurabilità della fattispecie in esame anche in caso di affidamento diretto del contratto senza alcun bando di gara, nonché il corretto significato dell’espressione «altro atto equipollente» contenuta nello stesso art. 353-bis.

Secondo questa impostazione, deve essere privilegiata un’interpretazione della norma che sia coerente, in termini rigorosi, con il principio di tassatività e, quindi, priva di richiami analogici in «malam partem». In altre parole, i ricorrenti hanno sostenuto che il modello punitivo di riferimento, per poter essere integrato, presuppone la necessaria esistenza di procedure selettive volte a valutare una pluralità di potenziali contraenti: nel caso di specie, invece, sarebbe stata del tutto assente ogni dimensione concorrenziale, non essendovi un bando, una gara o una qualsiasi valutazione comparativa.

La posizione della Cassazione. I giudici di legittimità hanno innanzitutto evidenziato le ragioni che hanno portato il legislatore a introdurre, nel nostro ordinamento, il reato ex art. 353-bis.

Il richiamo è all’art. 10 della legge 13/8/2010, n. 136 («Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al governo in materia di normativa antimafia»), che aveva l’obiettivo di neutralizzare quelle condotte orientate a turbare le fasi preliminari di una gara e colmare anche i possibili vuoti di tutela creati dall’applicazione giurisprudenziale del reato di turbata libertà degli incanti (art. 353, cod. pen.), secondo cui quest’ultima fattispecie non sarebbe configurabile nei casi in cui alla commissione di una delle condotte ivi enucleate non faccia seguito la pubblicazione del bando di gara e, quindi, il formale avvio della stessa procedura selettiva.

Sul punto, le motivazioni della sentenza n. 5536/2022 hanno chiarito la ratio dell’art. 353-bis, «…individuata nella esigenza di anticipare la tutela penale rispetto al momento di effettiva indizione formale della gara: la norma, si sostiene, mira a prevenire la preparazione e l’approvazione di bandi personalizzati e calibrati proprio sulle caratteristiche di determinati operatori, e a preservare il principio di libertà di concorrenza e la salvaguardia degli interessi della pubblica amministrazione».

In definitiva, precisano ancora i giudici di legittimità, «…il reato si consuma indipendentemente dalla realizzazione del fine, essendo sufficiente che sia messa in pericolo la correttezza della procedura amministrativa volta a stabilire il contenuto del bando, in ciò consumandosi il suo turbamento», non essendo necessario che «…il contenuto del bando, o di un atto a esso equipollente, venga effettivamente inquinato in modo tale da condizionare la scelta del contraente».

La definizione di «altro atto equipollente» di cui all’art. 353-bis. La Cassazione si è chiesta se il reato punito all’art. 353-bis sia configurabile anche quando, come nel caso di specie, la condotta perturbatrice non sia proiettata a inquinare lo sviluppo di una procedura selettiva, ma a evitare proprio una qualsiasi gara, creando così i presupposti per l’affidamento diretto.

Il problema, da questa prospettiva, ruota attorno alla corretta individuazione del procedimento amministrativo su cui cadono gli effetti dell’azione di disturbo e, di conseguenza, all’interpretazione del sintagma «contenuto del bando o di altro atto equipollente» di cui allo stesso art. 353-bis.

La Corte, su questo punto, non ha condiviso l’orientamento giurisprudenziale che intende, per «altro atto equipollente», ogni atto che «…abbia l’effetto di avviare la procedura di scelta del contraente, venendo così in considerazione, sulla scorta di un’interpretazione di segno ampio, pienamente conforme alla ratio legis, anche la deliberazione a contrarre qualora la stessa, per effetto della illecita turbativa, non preveda l’espletamento di alcuna gara, bensì l’affidamento diretto ad un determinato soggetto economico» (Cass. pen., Sezione VI, n. 13431 del 16/2/2017). Secondo questa soluzione, dunque, il reato si consuma anche quando lo strumento dell’affidamento diretto sia stato utilizzato, come nel caso concreto, in maniera distorta proprio per eludere l’indizione di una gara.

La Corte ha richiamato invece una diversa impostazione, secondo la quale il reato è configurabile «…in ogni situazione in cui si debba sviluppare la libera attività di concorrenza». In questa prospettiva, sono esclusi dall’applicazione della fattispecie ex art. 353-bis quei casi «…in cui la ricerca del contraente sia sganciata da ogni giudizio comparativo, anche di tipo formale, e in cui, quindi, non si può riscontrare la possibilità stessa che il diritto degli imprenditori a gareggiare in condizioni di parità per gli appalti pubblici subisca un nocumento» (Cass. pen., Sezione VI, n. 57000 del 6/12/2018).

In estrema sintesi, per «atto equipollente» deve potersi fare riferimento al contenuto di un atto che assolva la stessa funzione del bando.

La conclusione della Suprema corte. Si è affermato, quindi, che «…in presenza di una condotta perturbatrice, la trattativa privata e il conseguente legittimo affidamento diretto delle opere, se non anticipata da un segmento procedimentale di valutazione concorsuale, non consente di ritenere configurabile il delitto previsto dall’art. 353-bis cod. pen.».

Ne consegue che il giudice di merito, nei processi che hanno per oggetto la contestazione ex art. 353-bis di un affidamento diretto, deve sempre ricostruire l’origine e lo sviluppo del relativo procedimento amministrativo, per accertare se fosse prevista, in un’eventuale fase dello stesso, qualche valutazione comparativa in funzione selettiva dei concorrenti.