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Infortuni, solo la colpa non basta

Avv. Nicola Pietrantoni – (Italia Oggi, 6 giugno 2022)

Il comportamento imprudente del lavoratore non è sufficiente, da solo, a escludere la responsabilità penale del datore di lavoro in caso di infortunio. In questi casi, infatti, non è interrotto il rapporto di causalità che ha portato all’evento morte/lesioni del dipendente. E perché ciò avvenga deve concretizzarsi un cosiddetto «rischio eccentrico» o un «comportamento abnorme» da parte del dipendente: ossia, una condotta che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si colloca al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Il datore di lavoro, da parte sua, deve predisporre un sistema di sicurezza che non abbia evidenti criticità.

Il principio è contenuto nella sentenza n. 5417 del 21/1/2022 (motivazioni depositate il 16/2/2022), con cui la Cassazione (sezione quarta penale), accogliendo il ricorso presentato dalla parte civile, ha annullato la sentenza della Corte di appello che aveva assolto due imputati, titolari di una società edile, dal reato di lesioni colpose gravissime ai danni di un lavoratore.

Il caso. La persona offesa era precipitata da una scala a pioli, riportando una serie di lesioni significative (trauma cranico facciale con fratture delle ossa del cranio e focolai emorragici diffusi), mentre era impegnata a eseguire un lavoro di rimozione di alcuni cavi in acciaio cui erano collegati impianti di illuminazione sulla parete di un edificio.

Gli imputati, titolari della società presso la quale il dipendente esercitava la propria attività lavorativa, erano stati accusati, in sede penale, di non aver osservato alcune norme del dlgs 81/2008: in particolare, le disposizioni che sanzionano la mancata predisposizione e fornitura di dispositivi di protezione individuale, l’omessa verifica circa l’adozione dei suddetti dispositivi con riferimento ai rischi specifici della lavorazione (artt. 74, 75 e 76), la mancata previsione nel Pos (Piano operativo sicurezza) delle specifiche lavorazioni in quota cui era stato assegnato il lavoratore, nonché l’omessa previsione dei rischi inerenti tale attività, delle misure di prevenzione adottate e dei dispositivi di sicurezza di cui gli operai avrebbero dovuto avvalersi (art. 96, co. 1, lettera a).

Inoltre, venivano anche contestate, da parte del pubblico ministero, sia la mancata previsione di strumenti di lavoro più idonei alla lavorazione da svolgersi in quota (art. 111, co. 1 e 3), laddove la scala utilizzata non consentiva punti di appoggio o di presa sicuri (art. 113, co. 7), sia il non aver disposto e preteso che il lavoratore utilizzasse idonei sistemi di protezione che consentissero l’ancoraggio, l’imbracatura, nonché guide o linee di vita che assicurassero un collegamento a parti stabili delle opere (art. 115, co. 1 e 3).

L’assoluzione nel giudizio di merito. La Corte di appello, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva assolto gli imputati valorizzando il fatto che il datore avesse organizzato e predisposto da tempo l’esecuzione del lavoro in quota mediante l’intervento di un carro ponte dotato di braccio elevatore. L’impiego della semplice scala, da parte del lavoratore, sarebbe stata un’iniziativa autonoma di quest’ultimo, verosimilmente determinata dalla richiesta della parte committente in un momento in cui i datori non erano presenti sul luogo di lavoro.

In buona sostanza, secondo la Corte distrettuale, nessun addebito di colpa poteva essere mosso a carico degli imputati in ragione del comportamento abnorme e imprevedibile tenuto dal lavoratore. In definitiva, quel lavoro era stato eseguito con modalità scorrette e pericolose che mai avrebbero dovuto realizzarsi: per queste ragioni, i giudici di secondo grado hanno ritenuto di non attribuire alcuna responsabilità agli imputati per non aver indicato, all’interno del Pos, i rischi connessi a tale tipo di lavorazione in altezza, gli strumenti da impiegare e le relative misure di sicurezza.

Contro la pronuncia di assoluzione, la parte civile (Inail) ha proposto ricorso per Cassazione lamentando come il giudice d’appello avesse «…del tutto omesso di considerare che alla base dello scorretto intervento della persona offesa vi era una carente e non documentata programmazione della complessiva operazione di rimozione dei cavi e la omessa indicazione delle esiziali precauzioni che dovevano accompagnare tale fase che presentava profili di complessità, per l’ubicazione dei cavi, la tensione degli stessi e il fatto che sostenessero elementi di illuminazione, nonché per il complessivo ambiente che circondava il luogo di lavoro».

Secondo l’impostazione della ricorrente, inoltre, la condotta del lavoratore era stata tutt’altro che abnorme, «…in quanto si era inserita nel segmento della lavorazione oggetto del rapporto di appalto, in assenza di specifici divieti da parte del datore di lavoro e realizzata nell’ambito di una palese situazione di carenza di apprestamento di misure di prevenzione e di salvaguardia, come peraltro evidenziato dalla mancata previsione della lavorazione nel Pos, laddove il giudice di appello aveva relegato l’ipotesi di responsabilità datoriale alla sola ipotesi in cui il datore di lavoro fosse stato a conoscenza dell’iniziativa del lavoratore o l’avesse incoraggiata».

La pronuncia della Cassazione. I giudici di legittimità, condividendo le argomentazioni della parte civile, hanno stigmatizzato il ragionamento della Corte d’appello, sorretto dal seguente sillogismo: il giorno dell’incidente, il datore di lavoro aveva noleggiato un carro con braccio elevatore per seguire gli interventi in quota e il lavoratore, per tali ragioni, non avrebbe dovuto utilizzare la scala; alla luce di questa premessa, la Corte d’appello, a parere della Suprema corte, ha erroneamente ritenuto che «…poiché si era in presenza di un’iniziativa personale ed estemporanea del lavoratore di cui non aveva dato avviso al datore di lavoro, si era in presenza di una condotta eccentrica ed esorbitante del lavoratore e comunque nessun addebito di colpa poteva essere mosso al datore di lavoro in quanto le plurime regole cautelari che si assumeva da esso violate, garantivano la sicurezza di una prestazione lavorativa che nella specie non andava eseguita o andava svolta in modalità diverse da quelle per cui le garanzie erano poste».

Su questo punto, la Cassazione ha aggiunto che «…in presenza di appalto di opere da realizzare in quota rientrava certamente nei compiti dell’impresa appaltatrice quello di eseguire tutti gli interventi preliminari volti ad agevolare e a consentire la esecuzione degli interventi di ristrutturazione dell’edificio». Nel Pos dell’impresa appaltatrice, quindi, «…dovevano essere inserite anche le modalità di esecuzione di tali interventi, con previsione dei rischi connessi a tale lavorazione e con indicazione delle misure di sicurezza abbinate».

Ciò significa, in altri termini, che «…la totale assenza di una regolamentazione specifica nel Pos dell’impresa appaltatrice non consente di affermare che la lavorazione sarebbe stata certamente appaltata a terzi o eseguita mediante il noleggio di un mezzo meccanico (carro-ponte), ma manifesta una carenza organizzativa e previsionale in relazione a una fase dei lavori presi in appalto…».

Condotta colposa del lavoratore e carenza organizzativa. La Cassazione ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui le disposizioni in materia di sicurezza e prevenzione degli infortuni sono finalizzate a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti derivanti da sua colpa. Il datore di lavoro, infatti, deve impedire che i destinatari delle regole di sicurezza instaurino prassi di lavoro non corrette e, come tali, fonte di possibili rischi per la sicurezza e la incolumità degli stessi lavoratori (Cass. pen. n. 32507/2019; Cass. pen. n. 35858/2021).

Per escludere la responsabilità del garante in caso di infortunio sul lavoro, la giurisprudenza ha precisato che occorre la concretizzazione del cosiddetto «rischio eccentrico» causato dal comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore pur in presenza delle necessarie cautele, predisposte dal datore di lavoro, «…finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante» (Cass. pen. n. 27871/2019).

Il rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte/lesioni del lavoratore può essere escluso, infatti, ove venga provato che il comportamento di quest’ultimo è stato abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento. Sul punto, si è precisato che «…è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli» (tra le altre, Cass. pen. n. 33976/2021).